Mostra TENTATIVO
Visioni Altre in Campo del Ghetto Nuovo a Venezia
03 - 28 aprile 2021
dal giovedì alla domenica, 11:00 - 14:00, 17:00 - 20:00
Mostra bipersonale di
Massimo Puppi
e Sergio Boldrin
LETTERA
di GIULIANO TESSIER
L’amico Massimo, chiacchierando del più e del meno un paio di mesi fa, mi ha parlato della nuova mostra che voleva allestire, raccontandomi come era nata l’idea e di come si era appassionato a questo progetto. Sono rimasto subito colpito dalle sue parole e affascinato dai pensieri che mi stava esponendo. Massimo mi ha poi chiesto se volevo introdurre la mostra con poche righe di commento.
Ci proverò, cercando di trasmettervi le emozioni che ho provato, prima al suo racconto e poi ammirando le sue opere.
Massimo nei suoi quadri ci ha spesso portati per mano lungo viaggi, racconti della mente, sempre però ancorati a reali pensieri profondi: immagini costellate da piccoli uomini all’apparenza inanimati e da navi che percorrono mari e fiumi, spazi immaginari o spazi reali vissuti da Massimo. Spesso nelle sue opere, sullo sfondo, appaiono in modo apparentemente casuale delle parole evocative dei suoi pensieri: “l’acqua del mare è salata” , ricordo questa sua frase semplice e al tempo stesso profonda.
Anche questa volta Massimo ci conduce lungo un viaggio, ma sensibilmente diverso dai precedenti: si tratta di un racconto che si snoda attraverso una serie di fotografie, da lui stesso scattate, che poi, con i suoi interventi pittorici, sono diventate dei “quadri narranti”.
Come è nata quest’opera? Un breve antefatto: Massimo la scorsa estate si trovava in vacanza a Falcade, e, una mattina, dal suo balcone, vede sul prato una catasta di tronchi di albero ed è colpito dalla sua monumentalità. Era assemblata in modo scomposto e una donna ed un uomo, sudati sole il sole di luglio, si accingevano a tagliare i legni. Massimo inizia a seguire il lavoro ed a scattare con il cellulare delle foto. Ecco che il lento e costante lavoro dei taglialegna contemporanei comincia a ridurre i tronchi prima con una motosega e poi con cuneo e mazza in segmenti, sempre più piccoli, uguali, accatastandoli in modo ora ordinato, creando dei muri.
Si trattava di alberi provenienti da Frassenè Agordino sotto il rifugio Scarpa e divelti dalla forza dell’uragano Vaia. I due taglialegna contemporanei che si alternavano al lavoro li riducevano per ottenere legna da ardere per l’inverno.
Massimo, colpito da questo spazio che gli appariva teatrale, ha continuato anche nei giorni seguenti a fotografare il lavoro, restando impressionato dall’incessante battere dell’ascia sui legni e dallo sforzo compiuto dalla donna e dall’uomo.
Chiunque probabilmente avrebbe dato una rapida e distratta occhiata alla scena, per poi proseguire il cammino, ma Massimo no, si sofferma, analizza, inizia a pensare e la scena diventa un’ occasione di riflessione e di un viaggio con la mente.
Ed ecco che le foto scattate diventano dei quadri con i suoi segni pittorici: gli interventi di colore sono ora verticali, ora orizzontali e mi hanno subito richiamato alla mente proprio gli alberi, quelli divelti dalla forza della natura ed ora accatastati nel prato. Segni verticali come anelito verso il cielo quando erano ancora piantati nel terreno con le chiome ben ritte al vento e segni orizzontali quando invece giacevano a terra spazzati via dell’uragano Vaia e come i segmenti ottenuti dal lavoro dell’ascia.
La realtà delle immagini fotografiche appare ora decontestualizzata, la pittura avvolge e nasconde le case, il cielo ed i particolari, lasciando solo intravedere quello che a Massimo interessa: i legni ed il lavoro dell’uomo.
Anche il nostro sguardo, mentre osserviamo le opere, si concentra su questi particolari, i segni della natura, gli alberi, ora tronchi accatastati nel prato e i segni dell’uomo, la costanza, la fatica, il lavoro pesante e ripetitivo, ma con uno scopo ben preciso, fare legna per l’inverno.
E Massimo si interroga e pone anche a noi degli interrogativi: questi lavori, manuali e faticosi esistono ancora? Che senso hanno, in un mondo ipertecnologico dove tutto sembra legato alle macchine, meccaniche ed elettroniche? Sembra di assistere ad un “rito” ancestrale, fuori dal tempo e fuori dalle nostre menti, ma che è invece reale e concreto.
Il racconto pittorico non si esaurisce qui: Massimo casualmente trova e compra in paese una piccola statuetta di legno che raffigura un boscaiolo del passato, perplesso, appoggiato alla sua ascia. Ed ecco che inizia un dialogo particolare tra il boscaiolo del passato, pensieroso ed assorto, forse nell’atto di riposarsi dal lavoro, forse perplesso sul valore della sua fatica ed i taglialegna contemporanei incontrati nel prato in montagna: passato e presente si sublimano nello stesso rito e i barattoli posti intorno, che raccolgono alcuni trucioli dei legni tagliati del Vaia, sono lì a ricordarci il prodotto del sacrificio e della costanza dell’uomo, quello del taglialegna del passato e quello dei due taglialegna contemporanei.
Ma il messaggio delle opere che stiamo ammirando ci porta anche ad interrogarci sui cambiamenti climatici, sulla forza della natura che repentinamente può distruggere tutto ciò che ci circonda.
Nella continuità della fatica che, ora come allora, mette ordine nella catasta di tronchi, sembra di scorgere un esempio di come il mondo possa ritrovare l’equilibrio perduto nella costanza del lavoro manuale, del lento scorrere del tempo e del sacrificio, trasmettendoci nello stesso tempo un messaggio di speranza.