Nonostante sia la città più disvelata al mondo, aperta sin troppo, alle invasioni e alle profanazioni, Venezia continua ad essere uno scrigno, almeno per chi ha la curiosità e la sensibilità di guardarci dentro. Così peregrinando tra calli e campielli ci si può imbattere in un capitello, un'insegna, una corte, un'osteria, un poeta o magari in un pittore raccolto nel suo studio intento a dipingere e a tormentarsi davanti ad una tela.
E visto che uno dei compiti della rassegna espositiva del Bistrot de Venise è scoprire e far conoscere gli artisti "invisibili" oggi è qui con noi Massimo Puppi che, strappato al suo refugium, ha deciso di presentare i risultati di tanti anni di ricerca solitaria.
I tormenti se li è lasciati alle spalle rompendo una lunga segregazione, un "silenzio costruttivo" che durava da oltre trenta anni. In tutto questo tempo ha sempre dipinto e disegnato cercando disperatamente una via, un'impronta salda che gli consentisse di raccontare e raccontarsi con uno stile proprio e definito.
Massimo non è un autodidatta, per quanto la sua pittura se la sia costruita pezzo per pezzo. La sua storia inizia all'Istituto d'Arte dei Carmini dove trova un maestro, e poi una guida ed un amico, in Mirko Casaril insegnante di disegno dal vero e raffinato artista scomparso nel 1993. Poi c'è la Scuola Internazionale di Grafica con Riccardo Licata e quindi l'Accademia di Belle Arti di Venezia dove frequenta il corso di pittura di Emilio Vedova. La sua prima uscita espositiva personale è del 1973 con una mostra alla galleria Segno Grafico.
Per la Venezia dell'arte sono ancora anni di grande vivacità fatta di attività, incontri, rapporti, amicizie, galleristi ospitali, critici attenti, maestri a cui guardare, ma anche, per Massimo, anni di tanti interrogativi, dubbi, perplessità sull'arte contemporanea, sui suoi esiti e sulla via da percorrere come artista. Lui sente l'esigenza di staccarsi, di intraprendere un viaggio "privato" al di fuori dell'astratto e dell'informale ma anche della tradizione figurativa. Ma per affrontare questa avventura ha bisogno di allontanarsi dall'ambiente nel quale era cresciuto, di riprendere possesso della tela a modo suo, senza rinnegare il passato ma deciso a rischiare un percorso nell'ignoto con tanti timori addosso.
Lasciata la vita artistica pubblica, Massimo inizia intanto la sua attività di ristoratore, che prosegue anche oggi, alternando il lavoro alla sua "missione" pittorica. Sono anni di tentativi, sperimentazioni, riflessioni vissute nell'eremo del suo studio di San Cassiano. Ma questa sua clausura creativa lascia però spazio ad un continuo studio ed interesse per la pittura di ieri e di quello che si muove, fuori, nell'oggi. Dentro, tra le quattro pareti del suo studio, dipinge, disegna, realizza piccole sculture, scrive, prosegue la sua strada celebrando l'uomo e, con l'uomo, la natura e le cose che gli stanno attorno.
Ed arriviamo ad un anno fa circa, quando Massimo decide di rompere il suo isolamento e tornare in campo come pittore. Più solido, convinto dei risultati raggiunti e determinato a proseguire nella sua ricerca di nuove isole da esplorare.
Hanno camminato a lungo e faticato gli omini e le donnine di Massimo Puppi, si sono moltiplicati durante il viaggio, replicati ossessivamente in mutevoli sequenze, gesti, moti, invocazioni, alla ricerca d'una meta, un punto d'arrivo dove trovare un'innocenza perduta. Un popolo di segni, colori e pensieri in movimento che non si è arreso alla stanchezza, alle delusioni e alle difficoltà di un viaggio incerto. Fiduciosi hanno marciato, danzato, navigato sorretti dalla nostalgia di una terra di saggezza che, prima o poi, sarebbe comparsa all'orizzonte.
Ed un faro è apparso nella notte, solitaria torre di luce ed accoglienza ad indicare una via, un porto, una bocca nella quale entrare, un'isola sulla quale sbarcare, della sabbia da calpestare e da stringere tra le dita.
Così Massimo Puppi, con un'operazione pittorica e concettuale sofferta e coraggiosa ha sciolto il nodo della sua "disperazione" creativa recuperando la forza positiva e propositiva della memoria.
Non struggimento, rimpianto, macerazione o commemorazione, ma un luogo di libertà e mediazione, d'azione e contestazione dove il passato nutre il presente ed il presente può guardare al domai con occhi di speranza.
La Nostalghia di Massimo è riconquista di una provenienza, dell'essenza e della certezza dell'uomo e delle cose, dagli sguardi e dei sentimenti. La sua lagunarità si spinge oltre l'orizzonte, viaggia al di là d'ogni piacere estetico-estatico, il suo navigare traccia la rotta con Rimorchiatori, navi, pescherecci, barche, canoe...E poi pescatori, pesci, reti, strumenti ed oggetti raccolti e fissati in fotogrammi-graffiti d'acqua dove uomo e natura sanno incontrarsi. Immancabili fari vegliano con la loro solida rassicurante presenza e le clessidre scandiscono il tempo invitando a far presto, a sbarcare ancora, ed ancora un'altra volta per riappropriarsi delle isole e rinsaldare una comunità smarrita.
Con la pittura, il disegno, gli inserti fotografici Massimo costruisce paesaggi-pensieri mai statici, agitati da una gioiosa tensione interiore, mettendo assieme gestualità e organizzazione quasi geometrica degli spazi, colore e alfabeto grafico.
La sua laguna è quella che ci è stata consegnata dagli antichi, è quella del padre ed è quella vissuta oggi fisicamente e mentalmente: laguna-casa, laguna-realtà e laguna-sogno… Una laguna-ma(d)re per non smarrirsi, dalla quale partire e ritornare come i pescatori ed i mercanti. La nobile Venezia è lontana da questi paesaggi e -se appare- è inscatolata in ironici assemblaggi, città souvenir che ha perso le sue radici ed ha mercificato la sua storia e la sua magia.
Osservare la quotidianità veneziana può essere sconfortante ma può anche offrire stimoli da cogliere al volo su un blocchetto di fogli dall'osservatorio del suo locale sotto il campanile di San Polo e da qualunque altra postazione. Persone conosciute o sconosciute, amici e passanti, luoghi, oggetti si fanno disegno, schizzi, appunti da raccogliere, conservare e magari racchiudere impacchettati in una teca a farne scultura.
Dipingere, disegnare, recuperare e reinventare oggetti, scrivere, fotografare, sbarcare su un'isola abbandonata, sentire una fanciullezza eh scorre, cercare la forza e la passione del fare e dell'immaginare, l'energia dell'acqua e della terra. Rintanarsi in uno studio dinnanzi ad una tela sulla quale ormai la rotta è tracciata e non c'è più la paura e l'incertezza d'affrontare il viaggio. Sino a che c'è un faro amico qui o altrove, si può prendere il largo alla ricerca delle isole con la certezza di poter arrivare e tornare dove tutto è iniziato ieri, o mille anni fa, quando sul fango nasceva una comunità d'uomini prima di una grande e splendida città.
Emanuele Horodniceanu
Venezia Bistrot de Venise 14 gennaio 2010